Corte di Cassaz., sez.III, sent. n. 26806/2022
“La dichiarazione di fallimento non impedisce al creditore di tenere in serbo il titolo di cui sia in possesso per farlo poi valere contro il fallito tornato in bonis, né di procurarselo iniziando o proseguendo contro il fallito stesso un giudizio nelle forme e nelle sedi ordinarie, purché questo sia privo di qualunque effetto nei confronti della massa”
Il caso approdato dinanzi la Cassazione trae fondamento dal fatto che, a parere del ricorrente, il Giudice di Appello ha disatteso il principio affermato in passato dalla Suprema Corte a mente del quale, in base alla disciplina fallimentare, la dichiarazione di fallimento non impedisce al creditore di tenere in serbo il titolo di cui sia in possesso per farlo poi valere contro il fallito tornato “in bonis”.
Difatti, la Corte d’Appello aveva, dal suo canto, accolto la doglianza del fallito incentrata unicamente sul fatto che la mancata insinuazione al passivo fallimentare, una volta tornato egli “in bonis”, avrebbe precluso al creditore la proposizione dell’azione esecutiva.
La Cassazione, invece, ai fini della decisione, ha richiamato la disciplina di cui agli artt. 51 e 52 della legge fallimentare che, vietando il ricorso ad azioni esecutive individuali sui beni compresi nel fallimento, impone ai creditori che intendono soddisfarsi sul ricavato della vendita dei beni acquisiti all’attivo di parteciparvi, proponendo domanda di insinuazione allo stato passivo per far accertare i rispettivi crediti.
Al contempo, ha chiarito che la disciplina richiamata non impedisce di certo al creditore di far valere le proprie ragioni creditorie, una volta che il fallito sia tornato “in bonis”, sebbene non abbia proposto insinuazione al passivo, atteso che divenire creditore concorrente costituisce una mera facoltà e non di certo un obbligo. Ne consegue, pertanto, che alla mancata partecipazione non equivale l’estinzione del titolo esecutivo o la perdita del diritto di agire nei confronti del fallito tornato “in bonis”.
Al contrario “la dichiarazione di fallimento non impedisce al creditore di tenere in serbo il titolo di cui sia in possesso per farlo poi valere contro il fallito tornato in bonis, né di procurarselo iniziando o proseguendo contro il fallito stesso un giudizio nelle forme e nelle sedi ordinarie, purché questo sia privo di qualunque effetto nei confronti della massa”, sicché, escluso “che la «sopravvivenza» (se così si può dire) del titolo esecutivo formato contro il debitore poi fallito sia condizionata alla presentazione della domanda di ammissione al passivo, deve concludersi che in pendenza della procedura, pur essendo divenuta improcedibile (o improseguibile) l’azione singolare volta alla riscossione coattiva del credito nei confronti dell’insolvente, il titolo mantiene la sua validità ad ogni altro effetto”.
A cura di: Taisia Tini