Mutuo con deposito cauzionale: anche la Corte d’Appello di Salerno sulla idoneità di titolo esecutivo

La questione trae origine dall’appello proposto dall’istituto bancario avverso la sentenza di primo grado che, in accoglimento dell’opposizione ex art. 615 co. 1, ha dichiarato con sentenza dell’11.07.2024  l’inidoneità del mutuo a costituire titolo esecutivo in quanto prevede il deposito cauzionale infruttifero della somma erogata.

La Corte ha concluso con l’accoglimento dell’appello proposto da parte creditrice.

Ed invero, il mutuo, essendo un contratto di natura reale, si perfeziona non solo con “consegna di una determinata quantità di denaro, ma anche con il conseguimento della relativa disponibilità giuridica da parte del mutuatario, la quale può ritenersi sussistente, come equipollente della materiale traditio rei, nel caso in cui il mutuante crei un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario, in modo tale da determinare la fuoriuscita della somma pattuita dal proprio patrimonio e l’acquisizione della stessa al patrimonio di quest’ultimo (cfr., ex plurimis, Cass. 12 ottobre 1992, n. 11116; Cass. 15 luglio 1994, n. 6686; Cass. 21 febbraio 2001, n. 2483; Cass. 28 giugno 2011, n. 14270; Cass. 27 agosto 2015, n. 17194)”; tale passaggio dal patrimonio del mutuante a quello del mutuatario costituisce effettiva erogazione di fondi, anche laddove la somma sia versata su un deposito cauzionale infruttifero, destinato ad essere svincolato in conseguenza dell’adempimento degli obblighi previsti dalle parti.

Prosegue poi con un rinvio all’ordinanza della S.C. 5654/2024 laddove statuisce che “con il deposito cauzionale infruttifero, il mutuatario istituisce, in favore del mutuante, una forma di tutela contrattuale per le obbligazioni assunte, con la conseguenza che l’istituto di credito si ritrova nel possesso delle somme mutuate non perché non ha provveduto ad erogarle, ma in forza di un ulteriore ed autonomo titolo giuridico, rappresentato proprio dalla garanzia atipica costituita dal beneficiario, che, nell’ipotesi del suo inadempimento, legittima il finanziatore ad escuterla o, comunque, a negare lo svincolo del denaro e a trattenerlo in via definitiva. Tale operazione negoziale non comporta che l’istituto di credito trattenga le somme concesse a mutuo, ma consente ad esso di riceverle in garanzia atipica e provvisoria, comprovando, di riflesso, che il mutuatario ha effettivamente conseguito la disponibilità del denaro, che, altrimenti, non avrebbe potuto costituire in garanzia”.

E dunque, la Corte ha sostenuto che “la costituzione in deposito cauzionale infruttifero della somma mutuata presupponeva a fortiori che il denaro appartenesse ai mutuatari e, dunque, rientrasse nella loro sfera giuridico-patrimoniale, non potendo diversamente essere disposta in favore della Banca a garanzia dell’attuazione degli incombenti assunti”; in definitiva, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dal contratto di mutuo e non dalla non dalla più ampia fattispecie negoziale comprensiva del deposito cauzionale delle somme erogate e del loro successivo svincolo, e ciò poiché “tali attività, pur se collegate al finanziamento, conservavano la loro autonomia rispetto alla traditio rei dalla quale erano già derivati sia l’obbligazione restitutoria, sia il correlativo diritto dell’istituto di credito di procedere ad espropriazione forzata nel caso del suo inadempimento, sicché, ai fini dell’esercizio dell’azione esecutiva, non occorreva documentare in forma pubblica il definitivo smobilizzo del denaro”.

Nel caso di specie, in cui il contratto di mutuo prevede l’ordine per l’istituto bancario di versare una determinata somma ad un terzo mediante un mandato emesso sulla propria cassa, cui è correlato il rilascio di quietanza, i Giudici hanno ritenuto che ciò fosse sufficiente per il  perfezionamento del contratto, “prestandosi ragionevolmente ad essere apprezzato come corresponsione tout court dell’importo erogato dal tradens all’accipiens, atteso che il requisito della realità, proprio di tale tipologia negoziale, può essere integrato anche mediante il conseguimento della disponibilità giuridica del denaro, in ragione del crescente ricorso alla dematerializzazione dei valori mobiliari ed alla loro sostituzione con annotazioni contabili (cfr. Cass. 30 novembre 2011, n. 25569)”.

La Corte inoltre ha ritenuto inammissibile, per violazione dell’art. 345 cpc, co. 1, la doglianza relativa alla invalidità della clausola floor, poichè fatta valere solo in sede di appello, costituendo pertanto una ragione giuridica ulteriore ed autonoma rispetto a quelle originarie, e determinando di conseguenza un ampliamento della causa petendi ed un’alterazione degli elementi oggettivi di identificazione dell’azione.

Difatti, ricorda la Corte, “nelle opposizioni esecutive non è ammessa la formulazione di domande nuove e motivi ulteriori rispetto alle domande e ai motivi articolati nell’atto introduttivo del giudizio, anche se tali da comportare la caducazione del titolo esecutivo o, comunque, l’insussistenza del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata (cfr., ex ceteris, Cass., Sez. Un. 21 settembre 2021, n. 25478; Cass. ord. 22 marzo 2022, n. 9226)”, essendo ammessa solo la semplice emendatio libelli, tesa a modificare l’interpretazione o la qualificazione giuridica del fatto costitutivo, senza tuttavia porre un nuovo thema decidendum.

A cura di: Taisia Tini